LO SPORT NELLA GERMANIA NAZISTA, TRA ADESIONE E DISSIDENZA

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Iniziamo com questo articolo, che fa parte degli atti della Giornata della memoria 2012 tenutasi a Napoli il 29/01/2012, una serie di contributi su uno degli aspetti meno studiati del nazismo, ma non meno importante: lo sport

Aggiunto il link alla presentazione della giornata in formato Power Point e pdf

 

 

Max Schmeling et Albert Richter, due esempi di “Resistenz”?

 

Laura Fontana

 

 

Esistono numerosi studi dedicati all’utilizzo dello sport da parte del regime nazista come strumento di propaganda e come mezzo per “addomesticare” le masse, abituandole alla violenza (l’attività fisica è intesa innanzitutto come preparazione militare) e all’obbedienza. In tale ambito, la Germania di Hitler non inventa nulla, basti pensare all’enorme influenza esercitata dalla politica sportiva promossa dal regime fascista di Mussolini sul Führer e sulle élites naziste.

Per i governi totalitari ed autoritari (ad esempio il regime di Vichy), le competizioni sportive internazionali rappresentano un’opportunità straordinaria sia per rafforzare la coesione interna dello Stato, vale a dire il senso di identità nazionale del popolo, sia per dimostrare agli altri Paesi la propria forza e la propria superiorità. In effetti, quale migliore esempio della vitalità e della salute di un governo che realizzare delle vittorie sportive davanti ad una platea internazionale?

Tuttavia, la politica sportiva del Terzo Reich ha una specificità che la differenzia da quella degli altri governi totalitari e che deve essere analizzata per comprenderne le conseguenze per il destino dei suoi atleti. Occorre mettere in luce quel legame concettuale e politico strettissimo che unisce il concetto di sport, cioè di attività fisica, a quello di corpo. Il nazismo non intende mai il corpo come corpo dell’individuo, ma sempre riferito ad un’entità collettiva, il Volk (popolo inteso in senso etnico-razziale). È il Volkskörper, il corpo sociale, il corpo della nazione Volksgemeinschaft (comunità nazionale) che deve essere mantenuto in buona salute e fortificato, temprato alla fatica e alla sofferenza, per dare dimostrazione di superiorità razziale, ma anche per rigenerare la razza stessa. Il celebre slogan nazista “Dein Körper gehöhrt dir nicht!” (il tuo corpo non ti appartiene) ci fornisce un esempio illuminante.

Se mantenersi sani e forti è un dovere patriottico di tutti i cittadini tedeschi “ariani”, tale dovere non può che essere ancora più pressante per gli atleti del Reich, incarnazione dell’uomo nuovo nazista.

Solo interpretando correttamente l’uso dello sport nella Germania di Hitler si riesce a comprendere il processo di trasformazione che investe gli sportivi tedeschi di sangue “puro” (ovvero solo gli “ariani”), elevandoli al rango di eroi e semidei, ma anche a comprendere il livello di pressione psicologica e di violenza fisica cui vengono sottoposti. Lo sportivo del Reich è allenato a superare la soglia del dolore, della fatica e della paura, ha il dovere di vincere perché la vittoria è la prova della sua appartenenza alla razza eletta. La perdita sul campo sportivo è un disonore che si traduce in un’umiliazione pubblica e collettiva per l’intera nazione (Volksgemeinschaft), perché lo sportoccorre tenerlo ben presente – per il nazismo è Lebenskampf, lotta per la vita.

Metafora del soldato invincibile e personificazione dell’uomo nazista perfetto (o del perfetto “ariano”), il campione sportivo del Reich attira su di sé tutte le aspettative di un regime che ha bisogno del corpo dell’atleta per esibire la prova della propria superiorità biologica.

 

Ci fu resistenza negli ambienti sportivi tedeschi di quegli anni?

Tralasciando l’ambito degli ambienti sportivi comunisti e cattolici che richiedono una lettura differente, possiamo dire che nella Germania degli anni Trenta lo sport non costituì un’eccezione alla regola. Anzi il mondo sportivo tedesco, proprio per l’utilizzo propagandistico dell’attività fisica promosso dal regime, si dimostrò particolarmente influenzabile e disponibile ad aderire al nazismo. D’altro canto, gli atleti “non ariani”, vale a dire innanzitutto gli ebrei, furono espulsi da tutte le federazioni sportive fin dalla primavera 1933 proprio in virtù di un’adesione massiccia al regime, ovvero per decisione spontanea delle stesse federazioni, senza che vi sia stata la necessità di promulgare una legge specifica.

Troppo spesso tendiamo a dimenticare che il nazismo non fu solo repressione e violenza, ma per la maggioranza della popolazione tedesca fu innanzitutto fascino, seduzione e consenso, per lo meno nei primi dieci anni di governo.

 

Questo panorama di una società tedesca incline al nazismo e facile da nazificare, non deve impedirci, tuttavia, di individuare anche all’interno di una massa sostanzialmente vicina (o indifferente) al regime ambiti di resistenza meritevoli di essere analizzati. Resistenza, però, nel senso promosso dallo storico Martin Broszat negli anni Settanta, ovvero di Resistenz, di resistenza passiva all’indottrinamento e alla manipolazione, di dissidenza e di disobbedienza civile.

È in quest’ottica che va messo in luce il destino del tutto eccezionale di due grandi campioni internazionali dello sport come il ciclista Albert Richter e il pugile Max Schmeling, entrambi tedeschi e considerati “ariani” dal regime, che riuscirono a mantenere una certa distanza dal nazismo, compiendo anche scelte coraggiose in nome della propria coscienza.

Sono due storie completamente sconosciute all’opinione pubblica, studiate e diffuse in Germania solamente negli ultimi anni (la prima biografia tedesca di Schmeling esce nel 1998, quella di Richter nel 2001) ma che rivestono un’importanza particolare proprio perché gettano una luce di speranza su di un periodo contrassegnato dalla sottomissione e dall’obbedienza, dalla paura e dall’opportunismo.

Né militanti antinazisti, né dotati di una coscienza politica o di una statura morale ed intellettuale di particolare rilevanza (entrambi i campioni seppero trarre il meglio dal successo e dai privilegi riservati alla propria categoria di sportivi e non presero mai posizione apertamente contro la politica razzista ed antisemita del proprio Paese), Albert Richter e Max Schmeling non vanno trasformati né in eroi né in santi, come invece accade per buona parte della letteratura sportiva di stampo giornalistico. E nemmeno nel simbolo di una resistenza organizzata alla dittatura nazista.

L’eccezionalità di Albert Richter e di Max Schmeling sta nell’aver incrociato la grande storia, nell’aver vissuto e realizzato la propria carriera in un’epoca eccezionale, un’epoca che li ha posti di fronte a dilemmi morali e che ha richiesto loro scelte importanti. Si tratta di grandi sportivi (dunque famosissimi anche al di fuori del Reich, con un’influenza notevole sul pubblico come avviene per ogni personaggio celebre ed amato) che seppero vivere anche controcorrente, rifiutando di lasciarsi manipolare completamente dal nazismo.

Sono i loro gesti, le loro scelte e le loro decisioni, come sportivi e come uomini, che li hanno resi grandi e meritevoli di essere ricordati con rispetto.

Perché dimostrano che dire di no era possibile anche nella Germania nazista.

Presentazione alla giornata in Power Point

Presentazione alla giornata in pdf

Laura Fontana, è Responsabile del Progetto Educazione alla Memoria del Comune di Rimini che dirige dagli anni Novanta e dal 2009 anche Responsabile per l’Italia del Mémorial de la Shoah.

 

Specialista dell’insegnamento della Shoah, si occupa inoltre da diversi anni di ricerca sullo sport sotto al nazionalsocialismo, argomento su cui ha pubblicato Le sport: un droit de l’homme, in “Les Cahiers du Judaïsme” (Paris, 2007) e Le sport allemand sous le nazisme, entre adhésion et dissidence.Max Schmeling et Albert Richter : deux exemples de Resistenz ? (in pubblicazione, Paris, Armand Colin, 2012)

Ha partecipato a un progetto di ricerca coordinato dal Centre d’histoire dell’Università Sciences-Po di Parigi dedicato allo sport durante il nazionalsocialismo, collaborando come consulente scientifica del Mémorial de la Shoah alla preparazione della mostra “Le sport européen à l’épreuve du nazisme. Des J.O. de Berlin aux J.O. de Londres (1936-1948), (Lo sport europeo sotto al nazionalsocialismo. Dai Giochi olimpici di Berlino ai Giochi olimpici di Londra (1936-1948), in particolare occupandosi dell’Italia fascista e di ricostruire le biografie degli atleti perseguitati dal regime hitleriano. La mostra verrà tradotta e adattata per l’Italia entro l’anno 2012.

 

Ha curato e diretto seminari di formazione sulla storia della Shoah e dei genocidi, rivolti a docenti di lingua italiana, in Israele  (in collaborazione con The International School for Holocaust Studies di Yad Vashem a Gerusalemme) e in Francia (in collaborazione con il Mémorial de la Shoah a Parigi), intervenendo anche come relatrice.

Ha tenuto lezioni inerenti la storia e la didattica della Shoah anche in diverse Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Università degli Studi Federico II di Napoli, Université la Sorbonne di Parigi.

Yad Vashem l’ha invitata più volte a seminari e conferenze internazionali (2006, 2007, 2008, 2009, 2010) sull’insegnamento della Shoah e le ha affidato la direzione italiana di un progetto sperimentale che ha per tema la trasmissione della memoria della Shoah alle giovani generazioni attraverso le nuove tecnologie. Per tale progetto, è stata invitata a intervenire, in rappresentanza dell’Italia, alla conferenza europea di Vienna (novembre 2008) promossa da Yad Vashem e dalla FRA Fundamental Rights Agency della UE.

 

Dal 2007 lavora con il Mémorial de la Shoah che a gennaio 2009 l’ha nominata Responsabile per l’Italia, affidandole l’ideazione e il coordinamento di tutte le attività scientifiche e didattiche svolte in lingua italiana e in particolare dei progetti di formazione dei docenti in materia di storia della Shoah e dei genocidi. E’ consulente per l’adattamento e la traduzione di materiali didattici in italiano. Ha tradotto dal francese e curato le versioni italiane delle mostre del Mémorial de la Shoah “I genocidi del XX secolo” e “La Shoah in Europa”.

 

Da gennaio 2011 dirige a Parigi, presso il Mémorial de la Shoah, un seminario permanente sulla storia e l’insegnamento della Shoah (Università invernale per docenti italiani “Pensare e insegnare la Shoah,

http://www.memorialdelashoah.org/upload/medias/fr/programme_univ_italienne.pdf).

 

E’ consulente scientifica e collaboratrice della Revue d’histoire de la Shoah diretta da Georges Bensoussan.

 

Ha pubblicatoPiù di un mare di parole (con Giorgio Giovagnoli), Comune di Rimini, 1996, in cui ha firmato la parte sulla storia dell’antisemitismo, I nemici sono gli altri, Firenze, Giuntina, 1999, Adesso sono nel vento (Comune di Rimini, 2003) dedicato ai 40 anni di attività della città di Rimini in tema di educazione alla memoria e in Francia, L’enseignement de la Shoah en Italie, in “L’enseignement de la Shoah en France”, Paris, Revue d’histoire de la Shoah, 2010, Memoria, testimonianza e verità storica, in “Il paradosso del testimone”, Rivista di Estetica, 2010, 2011 L’ossessione demografica della Germania nazista attraverso il programma Lebensborn, in Interpretazioni della vita in dialogo con il nuovo pensiero”, collana Confluenze, Dante& Descartes, Napoli, 2011, Rethinking School Trips to Auschwitz. A Case Study of Italian Memorial Trains: Deterioration of Holocaust Pedagogy?, in “The Holocaust Ethos in the 21st Century: Dilemmas and Challenges”, Ariel University of Samaria, 2011,Les voyages scolaires italiens à Auschwitz dans l'ère des "Trains de la mémoire": une dérive pédagogique de la Shoah ?, in “Revue Historiens et Géographes, n. 415, Paris, juillet-août 2011.

Sotto la direzione di Georges Bensoussan, sta coordinando la pubblicazione di due numeri speciali della Revue d’histoire de la Shoah: “L’Italie et la Shoah: politiques, interpretations, enjeux mémoriels” (uscita prevista a fine 2013) e “La langue nazie” (insieme a Johann Chapoutot) che usciranno a fine 2013.

Da ottobre 2007 a settembre 2010 ha ricoperto la carica di Direttore dell’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini.

Nel 2008 ha collaborato con la Fondation Mémoire de la Shoah di Parigi come consulente esterna di un progetto di ricerca inerente lo sport nei campi di concentramento nazisti.