Finalmente chiudono le prigioni dell'orrore,"Gli Altri" 24 febbraio 2012 pag. 20

 

di Gigi Attenasio

 “Svuotano pure i manicomi criminali, a repentaglio la sicurezza dei cittadini. Il governo fa scappare i pazzi” rigurgita in prima pagina “la Padania”: è la “civiltà” dei Borghezio, del dito medio alzato, del rutto e della scoreggia libera, degli “extra” travestiti da leprotti per il tiro a segno dei “civilissimi” cacciatori del Nordest! A parte l’ironia (per Nietzsche spesso vicina alla tragedia), entro il 31 Marzo 2013 verranno chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG): è una importante notizia e Psichiatria Democratica come tale la registra in attesa del Regolamento attuativo che detti tempi e modi del processo di dismissione. Ci sentiamo parte di questa vittoria di civiltà per il sostegno alla Commissione Inchiesta del Senato di Ignazio Marino, cui ancora una volta plaudiamo per il lavoro svolto, e per le migliaia di firme da noi raccolte in pochi mesi contro quei tremendi luoghi di afflizione.

Domenica, dopo i mefitici miasmi padani, c’è stata una boccata di aria fresca sul Corsera: a una bellissima lettera di una signora di Firenze che scrive: “come possiamo continuare a vivere tranquilli quando sappiamo che nel nostro paese ci sono antri dell’orrore come questi” risponde, ispirato, il Cardinal Martini ricordando per gli OPG l’immagine stessa dei lager: “se ci sono ancora  è perché esistono ancora uomini e donne non considerati tali perché i loro delitti sono ritenuti più grandi della loro stessa dignità umana, ma la persona è più grande del suo peccato”. Se poi il peccato, diciamo noi, è per esempio, quello di avere rubato 7 mila lire minacciando con una pistola di plastica e per questo aver fatto decenni ad Aversa, non di errori, ma di orrori giudiziari dobbiamo parlare.

In “Carceri e Ospedali Psichiatrici Giudiziari”, a cura di Emilio Lupo e Salvatore Di Fede, in cui siamo con Magistratura Democratica, parlando delle 1510 persone ancora in OPG, azzardavamo qualcosa che più che una metafora è purtroppo una tragica, triste realtà, la nozione di Campi, cioè quegli spazi, per Agamben, dove l’uomo è ridotto a cosa, e la vita nel senso civile del termine (bios), è diventata una nuda vita, puramente animale, una zoè. Chi vi è rinchiuso è come chi nel diritto romano arcaico era definito “homo sacer”, cioè chi, giudicato per un delitto, non veniva condannato a morte con la legge civile, nè sacrificato agli dei, ma poteva essere ucciso legittimamente da chiunque. Il suo corrispettivo è il “sovrano”. Anche lui non è sottoposto alla legge, può decretarne la sospensione e ha diritto di vita e di morte. Sacertà/sovranità e stato d’eccezione al posto della legge abitano e fondano i Campi, dove di fatto sospesa la legge, che si commettano o no atrocità non dipende dal diritto umano o divino ma solo dalla civiltà e dal senso etico del “sovrano” che vi agisce provvisoriamente. Nei Campi si esercita una sovranità e gruppi di persone vengono chiuse e sottratte alle normali garanzie. In essi chi ha il potere decide vita o morte dell’altro senza commettere omicidio. Il campo si apre quando alla regola si sostituisce lo stato di eccezione; ciò che vi avviene supera il concetto giuridico di crimine e vi si realizza la più assoluta conditio inhumana che sia data. Domandiamoci perché alcuni eventi sono potuti lì accadere e se i campi vanno visti come un fatto storico, anomalia del passato oppure, come dice Agamben, come la matrice nascosta, il nòmos dello spazio politico che viviamo anche oggi. Vengono in mente i Centri Identificazione ed Espulsione, i campi Rom, ma anche lo stadio di Bari nel 91 con gli albanesi arrivati sulle nostre coste, lì ammassati in attesa e le zones d’attente di anni fa degli aeroporti francesi con persone in fermo 4 giorni per il riconoscimento dello statuto di rifugiato prima dell’intervento dell’autorità giudiziaria.

Con Cesare Bondioli, Emilio Lupo e tutta Psichiatria Democratica abbiamo chiarissimi alcuni rischi del Decreto Severino: che si riproducano Regione per Regione soluzioni neoconcentrazionarie e neocarcerarie, che non ci siano risorse economiche sufficienti e finalizzate a residenzialità “leggere” e agili e personale motivato e maturo, che il ruolo centrale non sia dei Dipartimenti di Salute Mentale di provenienza della persona coinvolta ma si ripropongano separazioni operative, che ci si dimentichi che il tema dell’imputabilità è tutto da affrontare. Esso è comunque un punto di non ritorno e di svolta radicale. Così per 1510 persone non si dovrà più dire: ”Li si tollerava trasparenti, li si trovava intollerabili non appena si mettevano a esistere sul serio”, Albert Memmi  in Il razzismo.