Relazione di E. Lupo (sintesi)

 

Ragionare fa parte della nostra storia; ragionare per meglio rispondere ai detrattori della riforma, a quanti, nel corso di questi ultimi venti anni, hanno agito per imporre un pensiero riduttivista, privo di credibili agganci teorici e di riscontri operativi, al servizio di  grandi interessi mercantili e di miseri opportunismi piccolo professionali. Ragionare per contrastare i professionisti della disinformazione e del nichilismo operativo, che vanno cianciando del tramonto irrimediabile delle avanguardie e di ogni possibilità di innovazione nella cura e nella lotta per i diritti dei marginali e degli psichiatrizzati………..Coerentemente con questa volontà di ragionare e di confrontarci, è nostro compito anche soffermarci sui limiti di questi anni, sia di analisi che operativi. Abbiamo bisogno di interrogarci sul che fare, senza perniciosi colpevolismi ma esprimendo tutta la nostra necessaria e costruttiva capacità critica.Trascurare questo compito danneggerebbe gravemente l’intero movimento. I molteplici fattori di attenuazione della spinta propulsiva vanno indagati con determinazione e senza reticenze. Nessuna realtà collettiva è stata risparmiata dalla crisi dello stato sociale, pochi hanno resistito ma i più, ahinoi, si sono sfaldati. La Salute mentale, particolarmente al Sud, sta pagando un prezzo altissimo: gli attacchi ai livelli occupazionali e agli interventi sociali, agiti in ragione della mancanza di risorse, riducono i Servizi a centri di intervento sulle emergenze e le urgenze, con interventi di tipo medico esclusivi, e col risultato paradossale di un aumento incontrollato dei costi, ben funzionale agli interessi delle agenzie del farmaco e del ricovero nelle strutture private. E’ illuminante, rispetto a questo tema, quanto ha scritto Raffaele Galluccio, relativamente al mutamento istituzionale ed alla nuova operatività:“Nel “ mondo dei normali” l’equipe clinica, mediante l’esercizio del ritualismo medico e l’ostentazione della propria gerarchizzazione intorno al sapere medico, conferma una visione del dolore psichico coartato in malattia mentale, destituisce di senso l’esperienza psicotica, riducendola ad espressione di disfunzione psichica e sancisce una cesura incolmabile tra malattia mentale e disagio psichico dei normali. Nel contesto sociale in cui opera, il Servizio clinico si colloca come agente di terapia-controllo.”.

 

Va anche detto che la classe politica (fatte salve rarissime eccezioni come la Commissione Marino sugli OPG), è stata insensibile ai bisogni di chi è svantaggiato…. ed anche gli intellettuali, con non molte eccezioni, distratti non si sa da che cosa, sempre più silenti o a rimorchio del potere, non contrastano l’attuale deriva.

 

La crisi, inoltre, alimenta i corporativismi, l’indifferenza e l’isolamento di chi vive in disagio, l’egoismo e l’assenza di solidarietà attiva, di condivisione delle difficoltà dell’altro da noi. Non si comprende che senza coesione siamo tutti più deboli e coloro con i quali vogliamo rivoltare il mondo finiscono, invece, rivoltati insieme a noi. Si fanno battaglie di singoli gruppi, con il risultato paradossale di aumentare il potere di chi ostacola il cambiamento per favorire le lobbyes del disagio.

 

Analisi dicevo – ha ricordato il dottor Lupo - autocritica anche, ma poi si riparta rilanciando, com’è nella nostra natura e come è giusto che sia.

 

….non ci resta che riprendere il cammino interrotto e fare di più in tutti i settori: dalla Sanità alla scuola, dalla giustizia all’ambiente, dal welfare al lavoro. Noi tutti siamo una forza se facciamo nostro il progetto collettivo che contenga al suo interno, i valori e le proposte concrete per sconfiggere l’idea antica dell’incurabilità verso cui sarebbe, irrimediabilmente, votato il Paese. Ovvero della ineluttabilità della malattia mentale, di una scuola selettiva, di una violenza di genere, di fabbriche e città malsane, di una disoccupazione e una precarietà, soprattutto giovanile, che non conoscerà svolta. Dobbiamo essere consapevoli che il denunzialismo generico, verboso e dilagante è un nemico che si può sconfiggere soltanto se si afferma un progetto di cambiamento che sappia raggiungere la gente e parlare alla testa e al cuore, che riesca ad impregnare l’anima delle persone della speranza che un altro mondo è possibile, nei fatti.

 

La nostra strada deve continuare ad incrociarsi e a sovrapporsi a tutto quanto c’è intorno, stringere relazioni e scambi continui con i nostri interlocutori.….solo allargandoci oltre, a dismisura, potremo comprendere veramente, da coprotagonisti e non da orecchianti, i reali bisogni della gente e, in questo modo, partecipare - alla pari - allo sviluppo delle pratiche di inclusione sociale.

 

E quante assonanze abbiamo riscontrato e scoperto, di volta in volta, con straordinari protagonisti della nostra cultura, ……primo fra tutti scrittore Vincenzo Consolo, cui io e molti altri del movimento eravamo legati da grande amicizia. Ancora oggi ne sentiamo grandemente la mancanza. Nelle sue opere scoprivamo una assonanza particolare e forte con le nostre battaglie e, probabilmente, lui con noi. A sottolineare, ci piace ricordarlo qui ed oggi, come saperi e pratiche diverse mantengono un unico denominatore: la libertà. In una intervista a Marino Sinibaldi, Vincenzo Consolo diceva così: “Ho voluto creare una lingua che esprimesse una ribellione totale alla storia e ai suoi esiti. Ma non è dialetto. È l'immissione nel codice linguistico nazionale di un materiale che non era registrato, è l'innesto di vocaboli che sono stati espulsi e dimenticati. Io cerco di salvare le parole per salvare i sentimenti che le parole esprimono, per salvare una certa storia”. Le vite dei pazienti erano un materiale non registrato e i vocaboli espulsi di cui dice Consolo erano gli uomini e le donne relegate in manicomio, perchè espulsi e dimenticati dal contesto civile. Un mondo altro costruito e costretto nello stesso tempo. La caratteristica, continua Sinibaldi, è ” la tensione verso l'affermazione di una propria identità, riconoscibile quasi in ogni frase. Egli, vuole creare una distanza fra la sua lingua e la povertà d'espressione della lingua di uso corrente”.

 

La nostra personale lettura è che Consolo sottolinei, con estrema chiarezza, che vi è una soggettività del singolo che va sempre rispettata e, perciò, si oppone alla lingua di uso corrente che non contempla la diversità. Sono questi i modelli a cui dobbiamo continuare a rimanere attenti, perché intrisi di umanità e di passione, di conoscenza e di condivisione, di progettualità e di concretezza. Sono queste, del resto, le direttrici sulle quali ci siamo mossi, anche negli ultimi anni: contro gli OPG e le pratiche di shock, a favore delle persone costrette a vivere in strada o in condizioni disumane nelle carceri e nei CEI, nel contrasto ai tentativi di smontare i servizi psichiatrici territoriali e promuovere una Salute Mentale di e nella comunità.

 

Ci siamo spesi e vogliamo farlo ancora, senza risparmio: voglio ricordare che abbiamo tenuto importanti ed affollati seminari in diverse Regioni e pubblicato due volumi sul tema OPG, più un volume di grande spessore culturale, pubblicato nei Fogli da Paolo Tranchina, inesauribile, puntuale e presente in tutte le battaglie, da 40 anni, che racchiudono contributi significativi di giuristi ed operatori. Noi tutti siamo impegnati per chiudere un’altra pagina amara, appunto gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, e siamo intervenuti - come recitava lo slogan che accompagnava la vignetta di Sergio Staino”- sporcandoci le mani”. Consentitemi, oggi, a nome di tutta Psichiatria Democratica, un ringraziamento allo storico mentore Staino, allo straordinario e fraterno compagno di viaggio Guido Silvestri che per una piacevole concomitanza festeggia anch’egli i 40 anni, quelli di lupoalberto, qui con noi, e ai carissimi Geppino Cilento e a Clara Fiorillo che rispondendo subito e con grande  ed affetto alla nostra richiesta, ci hanno fatto dono, quest’anno, dello splendido manifesto congressuale.

 

Ma torniamo agli OPG. Ebbene, va ricordato che come PD, abbiamo visitato (unico gruppo nel panorama associativo) con continuità ed a più riprese nel corso degli ultimi due anni - come militanti e dirigenti (C. Bondioli, S.Di Fede, P. Ortano, A. Morlicchio, G. Loffredo, R. Galluccio, T. Pane, Interlandi) – le strutture carcerarie italiane, per fare sentire agli internati ai loro familiari, agli operatori e alla comunità intera che puntiamo dritti all’obiettivo: mettere il catenaccio a tutti i sei portoni degli OPG e nel contempo, attraverso progetti individualizzati, e con risorse certe, realizzare un ritorno (il nostos di cui parlava Vincenzo Consolo) autentico ed emancipativo per tutti. Le nostre proposte, che abbiamo presentato a tutti gli attori in campo ( opinione pubblica, stampa, Parlamento, associazioni, ASL, Regioni e Quirinale ) sono semplici, chiare e non si prestano a interpretazioni: 1) Assoluta contrarietà a qualsivoglia proroga ( è ancora fresca la proroga al 2015)  e conseguente sanzionamento economico nei confronti delle Regioni inadempienti con la decurtazione di quota parte del fondo sanitario nazionale, e un NO secco alle REMS; 2) Progetti individualizzati per ciascun internato da parte dei DSM e/o degli altri dipartimenti interessati (Dipendenze, Anziani, Handicap stabilizzato), ….le nostre proposte di costituire equipes e Uffici di dismissione a tempo, con un coordinamento reale, per evitare (come si è verificato) il caos e il disorientamento, se, insomma, fossimo stati ascoltati già due anni fa, si sarebbe scritta un’ altra storia. Quel che ribadiamo con forza è che per evitare il trascorrere di anni tra un rinvio e l’altro, bisognerà, categoricamente stabilire - con un preciso atto legislativo -  che venga indicata una data precisa dopo la quale non sarà più possibile ricorrere all’OPG. Noi sosteniamo da tempo e con grande convinzione, che la Magistratura di sorveglianza debba utilizzare gli strumenti vigenti ( sentenza della CC n. 253/2003) per concretizzare misure alternative all’OPG, ma anche che si debba dare inizio, congiuntamente e al più presto, perché è urgente e centrale, alla revisione degli articoli del C.P. in tema di imputabilità, pericolosità sociale e misura di sicurezza. Di questo e di altro, meglio di me dirà certamente il responsabile di carceri e OPG, Cesare Bondioli, che in questi anni è stato punto di riferimento forte e costante per tutto il movimento antistituzionale, una risorsa importante, una garanzia di competenza e di equilibrio. Un NO forte alla REMS deve guidare il nostro cammino.

 

Dobbiamo continuare a batterci come PD (insieme ai tanti altri protagonisti già in campo) per il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri e per lo sviluppo sempre maggiore delle misure alternative alla detenzione; tali misure debbiamo monitorare  e sviluppare concretamente, così come vanno implementate le azioni a favore delle persone senza fissa dimora: PD, vogliamo qui ribadirlo, non è una Associazione di categoria, ma si sforza di essere uno strumento di liberazione, a partire dal nostro specifico psichiatrico in quanto paradigmatico della necessità di operare un’opposizione reale alle politiche di espulsione e di controllo sociale che qui prendono le forme dei dispositivi propri della psichiatria asilare e della psichiatria dell’emergenza. Le nostre azioni  ci hanno mostrato, nel tempo, che quelle politiche possono essere sconfitte solo da una idea e da pratiche di Salute Mentale di comunità, in grado di svilupparsi se capaci di attraversare contraddizioni di ruolo specifiche e contraddizioni comuni in altre realtà: dal carcere ai minori, dalle donne sole agli anziani, dal precariato alla salvaguardia del territorio, dai cittadini senza fissa dimora agli studenti e via discorrendo. Ritornando al carcere voglio riproporre al Congresso che PD, con altri movimenti, si  adoperi - in tutte le realtà cittadine dove siamo presenti - per rendere concreta la fuoriuscita dal carcere di un consistente numero di persone, attraverso l’utilizzo dell’Ufficio Lavori di Pubblica Utilità (ULPU), e le ricadute sarebbero tante e positive a più livelli:

 

        a) si rispetterebbe il dettato costituzionale nella sua interezza:

 

b) si potrebbero attivare in questa direzione i più disparati Enti e realtà associative e crescerebbe, nei fatti, l'inclusione sociale;

 

c) si decongestionerebbe il carcere;

 

d) avanzerebbe, nella cittadinanza, la cultura dell'accoglienza e del  perdono nella responsabilità, aggiungendo un tassello alla democrazia attiva.

 

Vogliamo attraversare tutti i luoghi dell’esclusione per attivare percorsi che conducono all’inclusione, con queste parole - riportate dal giornalista Enzo Ciaccio sul Mattino di Napoli, iniziavo la mia relazione al primo appuntamento sui senza dimora, a Napoli: era  il 10 febbraio del  2001…… dicevamo allora e sosteniamo ancora oggi, dopo tanti anni, che: ”L’obiettivo è la nascita delle Città sociali, l’unico filo che può unire le mille facce della marginalità”…….. Quest’anno, dopo 13 anni di lotte, il progetto del Comitato per l’Albergo dei Poveri (che prevede al suo interno una area  di accoglienza diurna, una notturna e quindi un orto cittadino), è stato fatto proprio dall’Amministrazione, ed ha preso vita il 1 febbraio, ma va monitorato per  verificarne lo sviluppo effettivo. Anche questa è Salute Mentale, perché parliamo di uomini e donne costretti a vivere on the road , costretti dalle avversità della vita e dall’indifferenza crescente, ad abitare cartoni e solitudine. E noi dobbiamo esserci con i tanti che -  spesso in silenzio, rifuggendo ogni clamore -   promuovono quei percorsi di inclusione sociale cui tutti dovrebbero tendere.

 

Cresce ogni giorno di più la preoccupazione per l’erosione progressiva delle risorse a disposizione delle Aziende Sanitarie, in tutto il nostro Paese; i tagli ledono i Servizi territoriali e minacciano di vanificare le straordinarie esperienze territoriali maturate nel corso degli ultimi anni.. ….Una tale involuzione, già in atto da molti anni in gran parte dei Servizi della penisola, produce almeno due effetti nefasti: a) reclude ed esclude i pazienti, b) aumenta i costi a dismisura.

 

A noi tocca di analizzare tali dinamiche e contrastarle. Dobbiamo impegnarci  affinchè i Servizi divengano strumenti di cura verace e di inclusione, facendo leva anche sulle esigenze di borsa. A tale scopo dobbiamo ancora una volta richiedere con forza:

 

a) l’adeguamento degli organici del personale pubblico, e che si incrementino l’integrazione con l’area del sociale, le attività riabilitative e si moltiplichino, al contempo, gli interventi di aiuto psicologico;

 

b) la realizzazione di programmi di alternativa al ricovero (dai gruppi – appartamento,alle case supportate) senza fare lievitare i posti letto per i dimessi dagli OPG ma utilizzando i fondi stanziati dalla legge, per rafforzare i Servizi di Salute Mentale, e attuando programmi individualizzati;

 

c)  una nuova progettazione dei Centri Diurni di Riabilitazione, resi permeabili ai microprocessi sociali e culturali del territorio;

 

d) la promozione nell’intero Paese, di un “Patto per il lavoro” che coinvolga le associazioni degli artigiani e degli industriali, gli enti locali, i sindacati ed il mondo della cooperazione, per garantire all’utenza psichiatrica una continuità nel lavoro per la conquista di un’autonomi concreta;

 

e) che vengano istituiti gruppi di ascolto destinati all’area del disagio adolescenziale.

 

E questo ci fa dire che dobbiamo esserci di più e meglio nei Servizi, essere ancor  più responsabili stimolare, aggregare, denunziare e proporre, com’è da sempre nelle nostre corde. Recuperare il tempo perduto e gli spazi di interlocuzione e di intervento reale. Promuovere la formazione sul campo: abbiamo rimesso mano, penso bene, attraverso una serie di appuntamenti importanti (va riconosciuto con l’instancabile e tenace impegno di  Ilario Volpi  e poi con Sandro Ricci ) come quello dell’ECM assai partecipato e ricco del settembre scorso, che avrà il suo naturale proseguimento tra poco, a giugno, sempre nella Capitale. Ma dobbiamo essere in grado anche di  affiancare altre attività attraverso appuntamenti specifici……. Con Salvatore di Fede - e i professori Cilento e Fiorillo, pensiamo di organizzare appena possibile un incontro Nazionale, da tenere a Napoli, proprio su questo tema, fuori ed oltre il già esperito, ritendendolo un tema centrale che va dibattuto in maniera multidisciplinare e assolutamente aperta. E’ infatti in corso il tentativo di un nuovo grande internamento che sposta dall’OPG alle REMS il suo contenitore (più di un segnale preoccupante lo avevamo avuto da Sandro Ricci nell’ECM di Roma, a proposito della ricerca Progress Residence che stima in 80.000 le persone stipate in 16.000 strutture della S.M.). Sempre sul tema della formazione sappiamo anche di un impegno ampio di Cesare Bondioli con gli studenti delle scuole superiori dell’aretino e noi stessi abbiamo incontrato, recentemente, gli studenti dell’Istituto alberghiero vicano e sicuramente ci sono state o ci sono esperienze analoghe in altri contesti. E già Gigi Attenasio è stato protagonista di analoghe iniziative, anche con corpose e specifiche pubblicazioni. Si tratta ora di trasformare l’impegno nelle scuole in una delle attività costanti  di Psichiatria Democratica, diffuse su tutto lo stivale. Il rapporto con gli studenti, i loro insegnanti e le stesse famiglie è luogo di confronto e di crescita collettiva importante e qualificante, un terreno da coltivare perché possa crescere la pianta della democrazia e della corresponsabilità dei singoli e della collettività. E penso anche a tante altri incontri e iniziative importanti che ci sono stati, ne cito solo alcune per motivi di tempo e mi scuserete: quella di Verona organizzata da Sandro Ricci e Paolo Tranchina o quelle del gruppo pugliese con Mariella Genchi, Pino Palomba, Filippo Cantalice e altri. Psichiatria Democratica deve essere questo e anche continuare a essere la storia e l’impegno – spesso assolto in punta di piedi - di donne e uomini della nostra organizzazione che con rigore, passione, capacità organizzativa e di ascolto, ogni giorno provano ad opporre il fare della speranza alla solitudine della paura. PD è  voglia di reciprocità, di confronto reale, capacità di vivere tutte le contraddizioni, attraversandole da un capo all’altro, senza arretrare. PD e’ l’ostinato impegno del gruppo di formazione, l’indomita volontà di chiudere la brutta pagina degli OPG, la lunga marcia (iniziata con un Convegno a Venezia, organizzato da uno dei fondatori di PD, Nico Casagrande, che domani rappresenterà, orgogliosamente, tutto il cammino di PD, da quel lontano 1973 fino ai giorni nostri) per costruire percorsi autentici di inclusione sociale per le persone marginalizzate, sofferenti, svantaggiate, esposte ai ferali colpi della società dei forti. Questa resta la frontiera per dirigenti e militanti che non nomino perché sono tanti e non vorrei dimenticarne nessuno. Tutti straordinari. Ma dobbiamo essere consapevoli e responsabili che è tanto ma non basta, affatto. Bisognerà, necessariamente, essere sempre di più con sempre più giovani e donne a dirigere e ad integrarsi con noi in una osmosi tra le generazione che è, per fortuna, palpabile, ma dovrà essere più profonda, in un continuum tra  storie di vita e esperienze professionali. Con tutti gli strumenti di comunicazione a disposizione, primo fra tutti il nostro nuovo sito, mirabilmente rilanciato dal Prof. Gianfranco Amodeo, che ringrazio assai per la disponibilità e l’alta competenza e dal quale ci aspettiamo, con la relazione che terrà nel primo pomeriggio, indicazioni, spunti e riflessioni indispensabili, per lo sviluppo possibile della comunicazione (di recente arricchito anche con facebook, su stimolo di Giusy Gabriele). Il nostro lavoro va rafforzato nelle regioni che ci vedono organizzati (e salutiamo con piacere la presenza nell’associazione di operatori impegnati di Calabria e Lombardia), con gruppi di militanti che si incontrino e discutano insieme, di volta in volta, le forme dell’intervento nei singoli Servizi e nelle comunità;  va accresciuta la nostra presenza nei luoghi del conflitto sociale per indicare soluzioni, per operare le trasformazioni senza le quali ogni rivolta si rivolta su sè stessa. Dobbiamo evitare soluzioni di comodo o falsamente innovative e continuare la nostra lunga marcia senza scorciatoie, lontani dai salotti e vicini a chi vive in disagio.

 

Noi siamo stati – ricorda mirabilmente Agostino Pirella in uno scritto del 2001 ed ancora terribilmente attuale – (e siamo tuttora, nonostante lo sviluppo di tentazioni tecnocratiche anche nel nostro ambito di riformisti e di “democratici”) psichiatri orientati alla soluzione di problemi pratici che hanno a che fare con condizioni di rischio per la salute: sofferenza, conflitto, alterità/diversità, perdita dei diritti di comunicazione e di critica. Bisogni non soddisfatti di sopravvivenza biologica e /o sociale. Per pensare a tutto ciò facciamo discendere le nostre idee dalla pratica quotidiana, ordinata non già da pensieri e teorie formulate altrove – e cioè in luoghi largamente distanti, spazialmente ed emotivamente, da quelle condizioni di rischio – teorie che si sono dimostrate incapaci non dico di risolvere, ma anche soltanto di avviare a soluzione problemi individuali che sono divenuti sociali e istituzionali….

 

Questa è la storia – come in più occasioni è stato detto - di un movimento, straordinario e insieme semplice. Un esperienza che guarda al presente e al futuro con la stessa caparbietà con la quale ha respinto tutti i tentativi di normalizzazione e gli attacchi posti in essere nei nostri confronti, nel corso di questi lunghi e favolosi 40 anni di vita.

 

Guardare avanti, è questo l’impegno di sempre di Psichiatria Democratica,  assunto davanti a tutti, acchè l’affermazione di Baruch Spinoza, che dà il titolo al mio intervento, ovvero che “Io amo la libertà non nella libera decisione, ma nella libera necessità “, continui a ispirare questo immenso tesoro collettivo che sono le mille realtà che si muovono quotidianamente, e che quotidianamente  scrivono pagine democratiche contro tutte le ingiustizie: noi con loro, per continuare a scrivere la nostra di pagina, mai ultima, di una storia che ogni nuova e vecchia ingiustizia avversi e pieghi; storia che fu, 40 anni orsono, di Basaglia e che oggi è ancora nostra.