Psichiatria e nazismo

Per le libertà

 

Emilio Lupo (Napoli)

 

 

 

Andavano e andando cantavano eterna memoria.Nelle pause, sembravano fossero i piedi, i cavalli, gli aliti di vento a continuare il canto intonato.

B. L. Pasternak

Prima di iniziare voglio immediatamente trasmettervi le immagini- in stridente contrasto tra loro- evocate in me dal pensare ai rapporti tra psichiatria e nazismo:la prima,riportata dall’iconografia classica di Ph. Pinel che a Parigi scioglie il gigantesco e pericoloso marinaio dalle catene delle carceri e lo abbraccia,e la seconda delle camere a gas dei lager nazisti che,come riportato dalla propaganda scientifica dell’epoca,"liberano i pazzi dal peso di una vita di sofferenze incurabili".

Se Pinel in quel momento, sulla scorta dei valori espressi dalla rivoluzione francese,fonda la psichiatria moderna,le procedure adottate dai nazisti aprono il campo ad aspetti e interrogativi fortemente inquietanti e, direi decisamente ingombranti.

Senza soffermarmi ad esaminare i vari e diversificati orientamenti che hanno caratterizzato la psichiatria da circa duecento anni,voglio parteciparvi di alcune riflessioni:

La psichiatria all’inizio si pone come espressione dell’istanza di liberare l’uomo dalle sue "catene", reali "e simboliche. Essa dunque si fonda su istanze di libertà, che tuttavia vengono puntualmente rinnegate nel passaggio alle pratiche operative(oggi possiamo parlare di differenza tra exposed theory e theory in use). Ciò sembra dimostrato dalle innumerevoli situazioni che hanno costellato questi anni-da Pinel ad oggi- e che, nel periodo nazista, hanno espresso il massimo possibile di violenza attraverso la deliberata e programmata soppressione fisica.

E’indubbio che la psichiatria possiede in sé stessa una radice distruttiva, la cui natura non può essere identificate tout-court con la radice positivistica che ne connota lo sviluppo dalla seconda metà dell’800 in poi.

La radice positivistica, identificando in un danno biologico- sia pure non ancora noto- le cause delle malattie mentali, ha sicuramente determinato lo sviluppo della cosiddetta utopia biologistica,la cui espressione pratica è rappresentata dalla costruzione di asili, sempre più numerosi e capienti, nei quali rinchiudere tutte le espressioni delle diversità, psicologiche e sociali, e sottoporle a "studio approfonditi" dei comportamenti e del soma, nell’attesa della scoperta del rimedio efficace e/o risolutivo.Non può essere sottaciuto che lo statuto scientifico al capo fa capo l’utopia biologistica ha decisamente scotomizzato i tanti altri aspetti dell’umano che sono stati , sino a qualche tempo fa, decisamente alienati dalla ricerca e dall’assistenza.Per essere chiari,il prodotto pratico dello statuto scientifico ha determinato il convergere dell’attenzione sulla malattia e non sull’uomo(malato), rendendo sempre più ristretti gli spazi assistenziali,sino a forme di vero e proprio abbandono , e allargando sempre più quelli della ricerca e della sperimentazione,sino a forme di spaventosi accanimenti terapeutici.

Ma essendo per fortuna più ampio e variegato il panorama degli interessi dell’uomo, lo sviluppo delle pratiche ed il contagio con altri saperi ha finito per promuovere la salute mentale, facendo così convivere le due anime della psichiatria,alle quali fanno capo molteplici modalità operative e di ricerca.

La prima è un ‘anima amica dell’ordine pubblico e quindi costituzionalmente costrittiva,violenta, repressiva, sino talora a meritare un’appartenenza al genere dei nazismi.La seconda,fortemente legata ai bisogni dell’individuo, tende invece al rispetto dei diritti del singolo e del suo futuro.Essa appartiene al gruppo delle libertà.

Lo scontro, che ancora oggi continua, con modalità sempre più raffinate, ci dice della grande attualità del tema che andiamo ad affrontare in questa importante assise,per l’appunto i rapporti tra la psichiatria ed il nazismo e che potremmo anche titolare dei nazismi e delle psichiatrie.

Voglio pertanto dire subito che nell’affrontare il tema centrale di questa giornata, mi sono apparse non poche – e di certo non fortuite- le connessioni, le correlazioni e la reciproca funzionalità tra il nazismo e la psichiatria di quegli anni. Tentiamo, perciò, di soffermarci sulle loro caratteristiche predominanti,così come sono state percepite,interpretate e vissute dalla gente.

Il nazismo rappresenta il punto più alto del soffocamento dei diritti,della sopraffazione, della totale violenza,della pura ferocia.

Il pensiero comune, attraverso la psichiatria dell’epoca, è come se abbia trovato nell’ideologia nazista (e affini) un substrato politico-culturale, un’alibi per rendere operativo il vissuto negativo nei confronti della diversità.

La psichiatria, che già si presentava fortemente affiliata all’ordine pubblico e da essa giuridicamente dipendente,nutrendosi delle tecniche della contenzione e della separazione anche attraverso l’uso del manicomio,non faceva fatica a fare suo il mito del superuomo e della difesa della razza,offrendo e sciorinando al potere nuove e più sofisticate"cure" fino a spingersi alla somministrazione dell’eutanasia.

La psichiatria e il nazismo provvidero, così e insieme,all’allontanamento forzato di uomini, donne e bambini dalle loro abitazioni,rendendosi responsabili di una delle forme più miserevoli di crimine, privandoli delle proprie radici, della propria storia ovvero di tutto ciò che è autentico,profondo,intimo. E la psichiatria che pure era nata per aiutare l’uomo a spezzare le catene,finì per sottrarre affetti, sogni e speranze ad intere generazioni che ebbero in cambio solamente barbarie,violenza e morte.

Com’è stridente e forte il contrasto tra la spietata, tragica e luttuosa povertà del nazismo e la prorompente ricchezza della libertà, che è sempre ricchezza di scambi. riscossa,speranza.

La malattia mentale,che portava con sé le stimmate della diversità, finì da quella psichiatria e dal nazismo per essere sempre più identificata come grave colpa:chi era portatore, venne punito, dapprima in maniera parziale ( dal contenimento alle pratiche di shock) in seguito in maniera totale con l’annientamento.

Tutto ciò per vari ordini di motivi quali:A) I programmi economici non contemplavano il sostegno dei malati perché incapaci a garantire forza lavoro o impegno bellico, né tanto meno i malati mentali potevano garantire produzione e riproduzione, ovvero la razza pura, che doveva naturalmente essere di origine controllata;B)La storia era vissuta, dai nazisti, esclusivamente come lotta razziale :pertanto tutti i diversi – che erano poi i non ariani- risultavano essere nemici e come tali da sopprimere.

Se l’obiettivo era l’annientamento dell’uomo diverso, se questo era l’unico scopo, allora quale sarà la risposta alle domande:perché è successo? Come è stato possibile giungere a tanto? Chiunque abbia cercato di affrontare i temi legati al nazismo- ed anche chi vi parla- si è trovato davanti questi interrogativi tanto ampi da potersi perdere. E’ breve, difatti,il passo dai luoghi comuni- acritici ed unidirezionali- da una cronaca che non ha il peso della storia.

Dov’è la libertà se colui che insegna non contempla una porta che ti lascia entrare, da cui, se vuoi, puoi anche uscire? Ma come possiamo fare correttamente convivere storia e memoria?

Ci viene in aiuto uno dei più apprezzati scrittori israeliani contemporanei,Abrham Yehoshua, il quale ha recentemente sostenuto che"nessuno può chiederci di dimenticare…ma non dobbiamo,non vogliamo precipitare nell’oblio.L’olocausto è stato un evento così importante,così pieno di significati che ognuno può scegliere il proprio modo di rapportarvisi…ma ciò che dovrebbe interessarci è trarre da quella tragedia una lezione perché eventi del genere non debbano ripetersi".

Il rischio,quindi,potrebbe essere quello,si diceva,del semplice racconto,di apparire scontati,superficiali,persino monotoni e di non riuscire,in ultima analisi,a giungere alle nuove generazioni, lavorando per comprendere, riconoscere e riconoscersi, senza doversi ritrovare, ancora una volta, ad ignorare la voglia dell’homo sapiens:la libertà.

Discutendo della Shoa, del Nazismo,dei campi di concentramento,della soluzione finale,si è sostenuto in certi ambienti ed in maniera del tutto approssimativa, che, in fondo,l’assoluta violenza come la negazione di tutti i diritti sia stata la colpa di alcuni uomini che hanno sbagliato oppure che solo taluni si erano accaniti e basta.Questa lettura è francamente inaccettabile.E’ invece necessario chiedersi:ma come si è giunti fin li?

Com’è stata favorita e fatta crescere la cultura e la pratica della violenza?Come,in tanti,hanno soffocato la propria ed altrui libertà?

Dov’era il mondo?

Dobbiamo partire da queste premesse se vogliamo tentare di tracciare il percorso della psichiatria di quegli anni e cercare i suoi rapporti con il potere istituzionale,in modo da riflettere anche sull’oggi e soprattutto,sul domani!

E’ noto che storici autorevoli ed accreditati,cos’ come i cronisti della carta stampata o i semplici attori dell’epoca hanno fornito le spiegazioni più diverse sui tremendi avvenimenti di quegli anni;anche qui,però,con il trascorrere degli anni si è spesso caduti nelle esemplificazioni,nelle ritualità,oppure, sull’onda emozionale,dopo qualche do maggiore ci si è lasciati per troppo tempo la musica alle spalle.

Il rischi che si perda la memoria storica di quegli accadimenti induce in me forte preoccupazione:temo che il numero degli omicidi,le date delle deportazioni,il nome dei lager,il numero degli zingari o dei malati mentali su cui venivano fatti "esperimenti di morte" rischino, con ogni generazione che avanza di pietrificarsi e di perdere peso e valore.Bisogna invece che la più immane tragedia moderna rappresenti il più grande,forte,pesante,sentito appello alle libertà,sussurrato,urlato,scritto,recitato,cantato in tutte la lingue,filmato con tutti i toni dal più sfumato al più intenso.

Di ciò dirò,brevemente,quest’oggi, ritenendo la libertà l’elemento centrale e di staordinaria attualità:come tutti i sogni è sempre cogente,come tutte le cose sostanziali è illusione.Vi è pertanto bisogno che si allertino le sentinelle della libertà acchè non abbiano più a coprirsi simili tragedie.Queste sentinelle non sono le vaghe ed inconsistenti sensazioni dei fatalisti,tanto meno gli appelli-periodici quanto rituali- ad una solidarietà priva della tensione alla parità,bensì la costante attenzione e verifica alla pratica dei diritti degli uomini,di tutti gli uomini.

Non appaia azzardato il termine coprire perché la scienza psichiatrica tra il 1934-1944 si rese corresponsabile:

  1. della sterilizzazione di 350.000 persone;
    • della morte di 70.000 pazienti psichiatrici,dichiarati incurabili da un gruppo di psichiatri
      • della morte dell’80% dei pazienti psichiatrici morti negli Ospedali psichiatrici per fame,per infezioni e maltrattamenti.

Muller-Hill ricorda tra l’altro che tra il 1940 ed il 1941 "i pazienti psichiatrici ebrei vennero uccisi con il gas dagli stessi gruppi che uccisero i pazienti non ebrei.

Si fa oggettivamente fatica a parlare di etica psichiatrica allorquando si apprende che " nel luglio del 1940 il Dr. Jaspersen di Bethel, tenta di smuovere i cattedratici tedeschi di psichiatria, affinché protestino contro l’eutanasia imposta dai nazisti. Solo la solitaria protesta del Prof. Eward risponde all’appello."

Mi è ancor più difficile poter serenamente pensare ad Ippocrate, al giuramento, alla cura, al benessere per i meno garantiti e di cosa, allora, si pensasse dei pazienti psichiatrici e più in generale dell’uomo, da parte del potere e degli psichiatri stessi è presto detto: la scienza esperimenta il coma insulinico,l’elettroshockterapia. Nel 1938, mentre la nazionale di calcio italiana vince i campionati del mondo ed i fratelli Biro mettono in circolazione la prima penna a sfera, si sperimenta sugli ultimi e più indifesi la psicochirurgia ed in Italia vengono promulgate le leggi razziali.

Poco più avanti si pensò di approntare una legge che giustificasse scientificamente (questo ci fa pensare a quanti soprusi si possono commettere in nome della scienza) l’assassinio dei pazienti psichiatrici ma per fortuna il progetto non vide la luce.

In Europa in quegli anni non ci si impegnò per difendere gli ultimi,tantomeno in Italia, dove la mortalità nei manicomi passò dal 6% nel decennio 1930/40 al 14% nel triennio 1942/44.Nel mondo della psichiatria, di questo eccidio nell’eccidio, non vi è traccia negli scritti ufficiali del dopoguerra, tant’è che bisogna attendere fino al giugno del 1978 quando Vittorio Donato Catalano e collaboratori, pubblicano una ricerca sulla"fame e morte nei manicomi campani durante la seconda guerra mondiale". Essi, tra l’altro, scrivono:" Nel 1946 si tenne a Roma dal 18 al 20 Ottobre, il XXIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria (S.I.P.).Era il primo congresso della Società dopo la guerra. Il precedente-il XXII- era stato tenuto nel 1940, pochi giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia. Ebbene nel Congresso del 1946 a tutte quelle morti non fu rivolta alcuna attenzione particolare.Seguendo la liturgia dei Congressi della S.I.P. dove vi è la consuetudine di ricordare gli iscritti deceduti, l’Assemblea si alzò in piedi ed in tale atteggiamento di rispetto e di omaggio ascoltò la commemorazione ed alla chiusura osservò un minuto di raccoglimento;ma nessuna iniziativa, nessun gesto commemorativo nei confronti delle molte migliaia di malati caduti….. Senza dubbio sarebbe stato anche bene- continua Catapano- che la Nazione avesse saputo chiaro e tondo che nei manicomi durante la guerra erano morte migliaia di persone e, nella stragrande maggioranza,di fame".

Si sa, tutti i governi esortano al risparmio ed allora come oggi, taluni salvatori della patria pensavano al risparmio del denaro pubblico ed a più efficaci metodi di cura: 21 ottobre 1940 ,Divisione Sanitaria : " Allo scopo di ridurre al massimo il consumo di insulina e tenuto conto d’altra parte dei buoni risultati e dei vantaggi che si ottengono con l’uso dell’ESK in varie forme morbose mentali,questo Ministero intende che l’impiego di tale terapia sia maggiormente diffuso negli ospedali psichiatrici del Regno in modo che non si faccia ricorso all’ICT se non dopo aver sperimentato l’ESK".

Tutto ciò ci induce a riflettere sui possibili livelli di compromissione e di reciproco sostegno fra tutti i poteri istituzionali: la psichiatria non solo partecipò alla promozione di progetti e programmi di intervento ma in molti casi si fece carico della loro attuazione pratica andando,talora, anche oltre le intenzioni. Rischieremmo, però di fare della semplice cronaca o peggio dei rilievi sterili se non tentassimo di conoscere le cause di assuefazione e connivenza, così da poter tessere le reti di protezione, che ancora oggi sono necessarie alla difesa ed alla promozione delle libertà.E’ indispensabile, quindi, " che si possano riconoscere gli aspetti profondi di una lunga catena di responsabilità che parte da molto lontano, dall’indifferenza pubblica che esalta le virtù del mondo privato, alla cinica aspirazione all’ordine sociale, costi quel che costi".( Chianese e Del Monaco).

Il richiamo è chiaro e forte ed invita ad "acquisire la sensibilità vigile di chi è comunque libero nella scelta tra cecità complice o la consapevolezza del proprio partecipare al mondo".

Così si riesce a riflettere sul nazismo-sostengono Chianese e Del Monaco- e ad " accorgersi della miseria di chi ci è straniero perché povero, dei genocidi politici ed economici, che avvengono oggi nel mondo, dal Kurdistan alla Bosnia, dalla Somalia all’America latina".

Sicuramente non si potrà dire delle libertà senza attraversare le pieghe del potere,potere che riesce a valicarsi, persino, come vuoto rassicurante, giustificazione di ogni atto, sfrontata impunità, ed uguale sotto tutte le latitudini quali che siano le professioni ed il ruolo che si finisce per occupare: Potere quale annullamento dei valori etici,l’infausto incontro tra l’integralismo, l’intolleranza e l’ignoranza: le libertà si soffocano con l’appiattimento culturale, il culto delle prassi, la pedanteria, il privilegio,il controllo dei suoni, del lessico, dei colori, il silenzio dei poeti, la scomparsa dei saltimbanchi e dei girovaghi.

Quella psichiatria fu, quindi, specchio e prodotto del potere e il suo ruolo subalterno, complice e misero, costituì l’espressione più esplicita di quale considerazione si avesse dell’uomo e quale valore si attribuisse alla sua vita. Difatti per la persona ammalata di mente la "cura" (dall’insulinoterapia alle terapie di shock alla già menzionata psicochirurgia) finiva per coincidere con l’accanimen

to, il controllo, la punizione, la violenza come mezzo e fine.

Della dignità, dei diritti e delle libertà non vi era alcuna traccia.

Psichiatria e nazismo finirono, così, per siglare un "patto di acciaio": la sofferenza, il malessere , la ricerca e l’approfondimento clinico vennero sistematicamente soppressi- insieme alla cura- per fare posto ad una determinazione forte e ad una pratica brutale tendenti, esclusivamente, al controllo sociale.

Gli psichiatri tedeschi- ma non solo essi- probabilmente dovettero ritenersi, alla pari dei membri del III Reich, al solo servizio della giustizia anche in seguito: " gli psichiatri - ricorda Klee- molto raramente accettarono le querelle degli ultimi pazienti che erano stati sterilizzati o che comunque avevano subito danni di altri tipi…… Dopo la guerra la maggior parte degli psichiatri coinvolti nell’omicidio dei pazienti rimase libera e continuò a praticare la professione.Molti di loro presentarono i pazienti che avevano salvato e persino coloro che avevano ucciso tutti i loro pazienti furono creduti quando dissero che pensavano veramente che fosse un buon comportamento terapeutico quello di liberare quelle povere persone dalla sofferenza ".Anche questo deve indurci a riflettere su come la continua negazione e lesione della cura e del diritto trovò ampia giustificazione proprio in nome di interessi che venivano riconosciuti come collettivi: in loro nome sono stati perpetrati abusi e violenze.

Ciò che abbiamo detto poco prima circa l’esortazione a non usare l’insulina mas la più economica energia elettrica, è di estrema attualità, se ancora oggi si deve registrare l’invito a risparmiare su alcune prestazioni socio-sanitarie o a ritenere inutili alcuni interventi di tipo sociale, semplicemente perché non tariffabili o perché al di fuori delle tradizionali pratiche terapeutiche.

Il prendersi cura veste spesso i soli panni dei bilanci da fare quadrare e pertanto la loro tinta è quella del cinismo e " quando un dubbio costo/beneficio sembra essere vantaggioso per la nazione vengono definiti etici tutti i mezzi adoperati per soddisfarlo".

Possiamo pertanto affermare che è stretta la connessione tra soddisfacimento dei diritti elementari dei cittadini in difficoltà di vivere e capacità della psichiatria di proporsi come attraversamento, percorribilità, risorsa, fruibilità, capacità di ascolto e promozione di relazioni significative. La psichiatria, insomma, finisce per essere uno degli indicatori dello stato di civiltà e di salute di una nazione, misura la capacità di un popolo ad accettare o meno quel che si definisce diversità,quelle"conchiglie umane vuote"come con torva fantasia venivano indicati i pazienti dagli psichiatri tedeschi durante la dittatura nazista.

Libertà e progresso vanno di pari passo e se non si incontrano con i diritti e la dignità sarà ben difficile che riescano ad esprimersi compiutamente: lo sterminio di massa rappresentava più di tutto la negazione dell’individuo, verosimilmente perché le loro vite erano "superflue" e , perché, la società doveva ricevere un ammonimento.

Ho più di una perplessità nel ritenere che la lezione della Shoa sia stata colta tutta e fino infondo, e che la psichiatria sia stata in grado, nella sostanza, di cambiare pelle, di fare la propria scelta(anche perché gli interessi che gravano intorno ad essa sono tantissimi)così da potere centrare gli obbiettivi di liberazione dalla malattia e di una costante attenzione e rispetto per l’uomo che esprime sofferenza e disagio,essendo ancora infarcita di un biologismo che seppur di volta in volta rivisitato ed aggiornato, rimane pur sempre ottocentesco.Tanto ci deve spingere a continuare la nostra ricerca delle libertà che riteniamo siano, in maniera assolutamente contestuale ed inscindibile,l’insieme della lotta della fantasia e del sogno di tutti gli uomini.

Di qui scaturisce una prima domanda:ma per il raggiungimento di quali libertà dobbiamo impegnarci oggi?Ed ancora:come facciamo a riconoscere la libertà? Di certo dovremmo attendere la pariteticità tra i diversi e molteplici bisogni dell’uomo -strutturali e sovrastrutturali- volgerci alle cose semplici, condivise e partecipate, superando ogni aspetto di drammaticità e di eroismo. A tale proposito Pisolini ricordava: "ho messo tra virgolette la parola "eroi" perché, come mi ha raccontato F.Basaglia,nel suo manicomio una ricoverata ha detto che gli eroi sono un prodotto delle società repressive".

La libertà è da me intesa come pratica della giustizia,come giustizia da consumare.Quella giustizia che,talora,invochiamo perché ci piace immaginarla e sentirla come la parte più alta e viva del sogno della libertà.

In questo senso nell’idea di giustizia vi è una sconfinata concretezza.

La violazione del sogno delle libertà ha privato gli uomini-resi poveri,soli,intimoriti,incarcerati,affamati,mutilati ed uccisi- della possibilità di incominciare o continuare il viaggio quotidiano: è di questo che dobbiamo assolutamente parlare, avviare una riflessione collettiva.Solo così- afferma Yehoshua- potremmo evitare di fare delle tragedie un mito di Stato,un mito che con il trascorrere del tempo finisce per svuotarsi dell’anima collettiva.

Dobbiamo evitare quindi di parlare un linguaggio astratto ed incomprensibile ai più,lontano dalla vita di tutti i giorni e dalla straordinaria quotidianità che ci spinge a fare,a programmare, a sperare e sognare: la vera barbarie è consistita nell’impedire con la forza, i soprusi e gli omicidi quelle tantissime cose semplici e consuete: poter andare e ritornare,decidere del proprio tempo, poter gestire il proprio negozio,innamorarsi,viaggiare,andare al mare,votare i propri candidati,festeggiare il compleanno,lavorare,nutrirsi,seppellire i propri cari,partorire nella propria casa,laurearsi,andare al mercato,fare fotografie,imparare un mestiere,truccarsi,la vendemmia,dipingere,preparare la cena,sognare un futuro e soprattutto poter dire:domani.

La ricerca delle libertà continua…e nessuno reciterà con Wittmann:

"O Capitano!Mio Capitano!il nostro viaggio è finito…

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

1)Muller-Hill, La psichiatria nell’epoca nazista,in: Etica in psichiatria, (a cura di) S. Bloch e P. Chodoff, NIS, 2° vol.1996

2)De Giovannangeli, Il valore dei simboli, L’Unità 15.08.98

3)G.Chianese,A. Del Monaco,Introduzione a :L’umanità come mezzo.Nazifascismo ed ebrei,in Dossier 199, Istituto Campano per la Storia della resistenza.

4)V.D. Catapano, A. Manfredi,N. Maturo,A. Nuciotti,Fame e morte nei manicomi campani durante la seconda guerra mondialein giornale storico di psicologia dinamica. Liguori Editore ,1976

5)B. Norcio-L. Toresini, Psichiatria e Nazismo, in: Fogli di informazione, Pistoia 1994.