storia di Antonia

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IMG-20171130-WA0006MORIRE DI CLASSE

Relazione di Giuseppe Ortano alla presenatzione del libro "Storia di Antonia"

 

Ora basta. Basta soprattutto perché non è più solo uno sparuto gruppo di tecnici illusi che lo impone,ma è la stessa classe oppressa che subisce da sempre queste morti e queste violenze che lo esige. Perché è chiaro a tutti che morti atroci sono sempre un “ morire di classe “.

( Franco Basaglia)

Per una mattinata è stato possibile ammirare la bellezza del Chiostro di San Bernardino sito nel complesso dell’ex O.P. S. Maria Maddalena, una volta primo manicomio del Sud Italia fondato da G. Murat nel 1813 e dove, oltre ai resti di affreschi sulle volte a botte,  sulle mura ancora si conservano le scritte e i disegni degli ultimi internati.

L’occasione mi  è stata offerta dal Centro Studi "Le Reali Case dei Matti" della ASL Caserta insiemeal Comitato civico "La Maddalena che vorrei “invitandomi a presentare, domenica 26 novembre 2017,  il libro "Storia di Antonia. Viaggio al termine del manicomio", frutto del lavoro di ricerca, durato oltre 2 anni, di Dario Stefano Dell'Aquila e Antonio Esposito, edizioni Sensibili alle foglie.Il volume ripercorre la tragica vicenda di Antonia Bernardini, morta nel 1974 a causa delle ustioni riportate per l'incendiò del letto di contenzione sul quale era legata da 43 giorni nel manicomio criminale di Pozzuoli.

L’auspicio è che questo  evento possa costituire l’inizio di una nuova fase di  ripresa di quel processo che ci eravamo immaginati quando,  oramai vent’anni fa,  abbiamo chiuso il manicomio: restituirlo alla fruizione della cittadinanza,  seppure con le indicazioni che Legge 388 / 2000ci impone. Gli spazi sono proprietà della ASL ed ogni introito derivante dal suo riutilizzo/alienazione deve essere usato per finanziare i S.S.M. territoriali. Il Comune di Aversa ha  peròda anniacquisito con fondi europei il Padiglione Bianchi per farne sede di attività sociali. Ad oggi purtroppo niente è stato fatto. E il degrado  e l’abbandono imperano in questi luoghi.IMG-20171130-WA0004

Il libro è il frutto del grande lavoro degli autori che ci restituisce una formidabile ricostruzione storiografica di quella fase  degli anni 70 senza infingimenti. Scritto di non difficile lettura, nonostante la densità dei contenuti e la gran mole di riferimenti bibliografici, documentali e giornalistici, puntuali ed esaustivi. Il merito sta nel consentire a chi non li ha vissuti in prima persona di orientarsi nell’universo concentrazionario manicomiale.  Libro che vede la luce ad OPG chiusi, ma non per questo appare  meno attuale, come testimonianza e denuncia dei “ crimini di pace” perpetuati ai danni degli internati.

La storia di Antonia Bernardini  di per sé non ha  nulla di eccezionale,  è tipica delle  logiche istituzionali di quegli anni ( e purtroppo non solo).

Era sicuramente una persona sofferente, con una lunga “ carriera istituzionale “ durante la quale aveva avuto tanti ricoveri in diversi luoghi e con diverse diagnosi. Antonia rappresenta il  prototipo del paziente manicomiale( ma   ancora oggi è così per i pazienti psichiatrici): sottoproletario, bassa cultura e scarso accesso alle cure. Ben altro era il clamore ad esempio della contessa Bellentani di cui ad Aversa è ancora conservato il pianoforte nel museo dell’OPG: una delle prime cose che con orgoglio nient’affatto malcelato ti veniva (viene) mostrato. A riprova del peso che avevano/hanno le differenze di classe!!

Antonia, romana di borgata, fu internata a seguito di un banale litigio avvenuto alla Stazione Termini con un carabiniere in borghese e morì in attesa di un processo che non si sarebbe mai svolto e, come tante altre donne di cui pure viene ricostruita la storia nel libro, vittima di prassi e logiche manicomiali  che purtroppo tendono a riproporsi.

A ragione della sua malattia ogni suo gesto era considerato espressione della malattia, figurarsi il morire arsa viva su un letto di contenzione : < Per gli altri c’era la fettina di carne e per me no …… Per me piangono i mattoni….Mi facevano sempre lavorare e Suor Teresina mi ricompensava con il giubbotto e le punture…. Otto fiale di Faseina forte…..era una cura che mi aveva messo lei…………non il dottore……il prof. Tempone veniva ogni otto giorni e  Suor Teresina era sempre presente quando dovevo parlare con il dottore. Ci legavano come Cristo in Croce>.                             Dunque in manicomio  scompariva la persona  ed al suo posto vi era solo la malattia (reificazione).Vasto  il clamore mediatico.

Sergio Piro, allora segretario regionale campano di PD pubblicò su Il Mattino un editoriale con il titolo ” Il Medioevo è tra noi “, in cui duramente denunciava la violenza addizionale in tutto il suo nudo orrore manicomiale.

La Segreteria Nazionale di PD  con un comunicato stampa di rara durezza, che il 7 gennaio trova spazio sul Corriere della Sera,  denuncia che si tratta di “un’ennesima condanna a morte senza possibilità di appello, pronunziata ed eseguita congiuntamente da due fra i più forti sistemi repressivi esistenti in Italia, quello giudiziario e quello psichiatrico”.

A queste dure prese di posizione fanno eco le parole del direttore del manicomio criminale di Pozzuoli che definisce il caso come un suicidio e liquida le critiche di PD con un secco “ sono tutti maoisti”  !!!!

A distanza di 44 anni, purtroppo, la storia si ripete.Franco Mastrogiovanni, "il maestro più alto del mondo", sottoposto a TSO  morirà nell'ospedale di Vallo della Lucania nel 2009, legato al letto per 87 ore. Anche in questo caso il tentativo fu di “ minimizzare” la illecita contenzione peraltro mai motivata nei diari clinici, ma grazie alla tenacia della famiglia ed alle incontrovertibili immagini dell’orrore registrato sul circuito interno di videosorveglianza, si è giunti all’affermazione della verità.

L’uso della contenzione, sopravvissuto alla chiusura dei manicomi, è la prova più chiara e scandalosa di quanto sia ancora viva l’immagine del matto pericoloso, inguaribile, incomprensibile e quanto sia giustificata, voluta o tollerata, la domanda di controllo, di custodia, di segregazione. In molti dei luoghi della cura si lega, ma si fa di tutto per non parlarne. Una morte che anche se  sembra una eccezione e solo una morte non silenziata. Nel nostro Paese, in gran parte dei servizi psichiatrici ospedalieri di diagnosi e cura, ma anche nelle RSA  e nelle strutture che accolgono bambini ed adolescenti  la contenzione è pratica diffusa, come ha denunciato il Comitato Nazionale per la Bioetica lo scorso 23 aprile 2015, ribadendo che “l’uso della forza e la contenzione meccanica rappresentano in sé una violazione dei diritti fondamentali della persona”. .

E' la quotidiana banalità del male!.....

Dott. Giuseppe Ortano

Resp. Naz. Nuove Marginalità e Nuovi Diritti

di Psichiatria Democratica