tornano i manicomi?

TORNANO I MANICOMI A VENEZIA E NEL VENETO?

Corriamo il rischio che ritornino i manicomi? Basaglia non lo escludeva.

di Guido Pullia

A Venezia c’è una storia di cultura anti istituzionale, e specificatamente antimanicomiale, che si è diffusa solo in pochissime altre sedi del Veneto. La legge del 1904 che ha preceduto la 180/833 definiva i manicomi come i luoghi di custodia e cura in cui collocare, per lo più per tutta la vita, le persone prive di mezzi “pericolose a sé e agli altri e di pubblico scandalo”. Quindi le due funzioni riconosciute alla psichiatria erano: il controllo sociale (vedi caso, dei poveri) e la difesa della pubblica decenza, che precedevano la cura, la quale si limitava per lo più ad essere cura del corpo. Al centro della cultura antimanicomiale c’è il riconoscimento dell’ incompatibilità dei due termini: cura e custodia, a meno di non effettuare il loro rovesciamento conferendo priorità assoluta alla cura.

La rimozione di questa cultura (si potrebbe dire, usando la terminologia più attuale: dell’attenzione, nella loro irriducibile complessità, alle determinanti bio/psico/sociali della sofferenza mentale) che si è radicata a Venezia nel tempo riproporrebbe facilmente la presunzione di necessità del manicomio o di un suo succedaneo più moderno: di un luogo, comunque, dove custodire la follia.

Questa città

  • ha chiuso i suoi due manicomi addirittura nel 1978 e nel 1992, quindi ben prima che la ministra Bindi emanasse il decreto che disponeva che il definitivo superamento in tutta Italia dell’istituzione manicomiale avvenisse non oltre il 1996,
  • ha dato i natali a Franco Basaglia e a Franca Ongaro Basaglia,
  • ha visto promuovere l’accoglienza turistica di malati mentali anche di altre parti d’Italia e d’Europa, aprendo loro gratuitamente i suoi musei, offrendo l’ampia disponibilità di ospiti importanti, da Arrigo Cipriani a cooperative di gondolieri, taxisti e guide turistiche,
  • ha visto produrre documentari sulla salute mentale da parte di figure di artisti ed intellettuali come Raymond Depardon e altri registi cinematografici e teatrali,
  • attraverso il rapporto DSM/Municipalità ha offerto per parecchi anni una scuola di teatro per cittadini - utenti e non - e ha ospitato performances teatrali di pazienti del locale Centro di Salute Mentale,
  • grazie al rapporto tra Comune e DSM, ha offerto vacanze gratuite a gruppi di utenti di diverse città italiane e straniere, ricevendo in cambio, in un rapporto di reciprocità, la possibilità di trascorrere vacanze in altri luoghi d’Italia,
  • ha inserito al lavoro in locali famosi nel mondo persone in cura per il loro disagio mentale,
  • ha recuperato alla cittadinanza un’intera isola (S.Servolo) rendendola un luogo di studio, di memoria, d’arte.
  • hanno operato cooperative che con il loro lavoro artigianale di alta qualità hanno contribuito al restauro della Fenice,
  • diversi istituti scolastici (Istituto Statale d’arte, Liceo Artistico, Liceo Sociopedagogico, ecc.) hanno incontrato e lavorato insieme al Centro di Salute Mentale, contribuendo al superamento di stigmi e pregiudizi,
  • la legge sull’Amministrazione di Sostegno si è applicata nel suo spirito autentico finchè si è mantenuto un rapporto costruttivo tra Comune, Dipartimento di Salute Mentale, Magistratura,
  • ha sede la Fondazione Franco e Franca Basaglia.

Qui

Non è sufficiente che una volta l’anno Venezia faccia da vetrina di altre esperienze e ci faccia sentire testimonianze di altri luoghi con l’apprezzabile iniziativa del Festival dei Matti. Bisogna che riprenda a darsi da fare per i matti di casa sua.

Oggi pare che le cose stiano cambiando.

Già l’assurda scelta di prelevare danaro dai malati attraverso i ticket sanitari – tasse sulle malattie - favorisce indubbiamente la rinuncia alle cure (e già far accettare al malato di mente che è malato ed ha bisogno di un medico, si sa, è un lavoro in molti casi assai impegnativo, tanto da testimoniare la capacità professionale di un’équipe psichiatrica. Molti psicotici, soprattutto giovani, non chiedono nemmeno l’esenzione per il timore –giustificato- delle conseguenze: si pensi alla patente o alla ricerca di un’occupazione). Non solo: dato che una volta stabilito un rapporto di fiducia non si può dare per scontato che si sappia mantenerlo, il lavoro dev’essere continuo, tanto più in una città in cui certamente occorre che i pazienti siano motivati a muoversi per recarsi nel servizio di riferimento: nel centro storico e nelle isole non si possono utilizzare auto o pullmini per sollecitare e accompagnare persone “reticenti” per far loro frequentare un Day hospital o un Centro Diurno. La notevole riduzione delle risorse umane fa sì che si riducano le visite a domicilio, molte delle quali sono indispensabili se non si vogliono perdere i malati che si chiudono in casa e apparentemente non vogliono saperne di curarsi. L’inadeguatezza del territorio significa assenza di prevenzione, attesa dei sanitari in ambulatorio (l’intervento avviene su chi già sceglie di essere aiutato) o in ospedale (come ai tempi del manicomio) ed intervento solo sulla crisi. Ciò causa una cronificazione del sofferente mentale, non adeguatamente seguito ed accompagnato.

Si sta assistendo ad un aumento dei ricoveri (brevi e ripetuti) anche in conseguenza di un minore utilizzo del Centro di Salute Mentale in cui la presenza di momenti di aggregazione favoriva occasioni d’incontro. A Venezia centro storico la scarsità di operatori e di momenti di confronto “non clinici” fa sì che si assista al triste spettacolo di un Centro di Salute Mentale (che dovrebbe essere aperto 24 ore ) con il portone chiuso fin dal primo pomeriggio!

L’obiettivo sembra essere diventato soltanto offrire prestazioni sanitarie. E se il problema è solo applicare la medicina basata sulle evidenze, è facile pronosticare che quando i trattamenti medici tradizionali risulteranno inefficaci le persone saranno considerate croniche e, in risposta al mandato di un semplice controllo sociale, le persone dovranno essere confinate ed assistite (non più curate) in luoghi con porte ben chiuse alla città.  

Infatti la delibera della giunta Regionale 59 del 28/5/2018, “Programmazione del sistema di offerta residenziale extraospedaliera per la salute mentale” si inventa moduli di 40 posti letto per “cronici ultra 45enni” pagati per il 60% dalla quota sanitaria e per il 40% con quota sociale. Quindi, non “cosa faccio con il paziente”, ma “dove lo metto” se la psichiatria non è in grado di guarirlo, - non ci si fa la stessa domanda per tante altre malattie che la medicina non guarisce, ma non per questo smette di curare - . Inoltre ci saranno ancora psichiatri che, continuando a pensare alla psichiatria esclusivamente come una mera disciplina medica, non vorranno darsi per vinti ma magari riproporranno trattamenti “eroici” come i trattamenti elettroconvulsivanti o ne inventeranno di nuovi (il solo psichiatra insignito del Nobel fu Egas Moniz, l’inventore della lobotomia , ma in tempi assai vicini nel servizio di Mestre, ben dopo la 180, si sperimentò la dialisi per la cura della schizofrenia).

Tutto fa brodo per certi psichiatri, pur di non incontrare il malato nella sua esistenza concreta, pur di non considerare la follia un’esperienza umana con cui confrontarsi.

La “religione dei protocolli” ha prodotto, tra le tante aberrazioni, anche quella di aver acquistato “fascette” per la contenzione fisica! Questo perché c’è un “protocollo” che, lontano dall’indicare come evitare il ricorso alle contenzioni fisiche (abbandonate da decenni in città) indica come effettuarle “correttamente” ! Nel Veneto si stanno abbandonando anche nei pochi luoghi dove gli operatori le attuavano esperienze “open door” e “no restraint”. Stiamo rovesciando la frase di Basaglia, che, nel documentario su Gorizia “I giardini di Abele” rispondeva così all’intervistatore Sergio Zavoli che gli chiedeva se fosse più interessato al malato o alla malattia: “al malato, decisamente”. Di conseguenza (sempre citando Basaglia) “magari i manicomi saranno ancora più chiusi: noi abbiamo solo dimostrato che l’impossibile può diventare possibile”.

Scommetto ancora su un “possibile” ritorno della cultura anti istituzionale anche a Venezia, attraverso alcune proposte operative:

  1. Intercettare le risorse disponibili in città (girano molti soldi, ci sono molte offerte culturali, la storia del suo artigianato è ricchissima) per metterle in rete con i Servizi e fare interagire sani e matti per effettuare una vera prevenzione e ri/abilitazione;
  2. Questione abitativa: interloquire sulla assegnazione delle case, confrontarsi con inquilini e condomini facendo leva per quanto possibile sulla solidarietà e l’accettazione;
  3. Questione lavorativa: far leva sull’impresa sociale proponendo non lavori dappoco ma al contrario molto qualificati, magari approfittando della difficoltà dei migliori artigiani di trovare allievi che possano portare avanti la loro attività;
  4. Questione ambientale e della socialità: sempre attraverso l’impresa sociale essere presenti nella riqualificazione delle isole abbandonate, nell’agriturismo, nel turismo minore, coinvolgendo la popolazione: si realizzino, al posto delle comunità psichiatriche, il più possibile Inserimenti Eterofamiliari Supportati di Adulti (IESA): adozioni del malato di mente (progetti già sperimentati in Italia: ad esempio a Torino, Lucca, Pisa, Treviso..);
  5. Attingere, attraverso specifici progetti, al Fondo sociale Europeo , approfittando delle competenze di attori, registi, intellettuali interessati alla città;
  6. Rapporto con la magistratura: interloquire sul destino delle persone sottoposte a provvedimenti di sicurezza facendo riferimento al protocollo del Consiglio superiore della Magistratura a seguito del confronto con Psichiatria Democratica; riaprire la questione Amministrazione di sostegno.
  7. Effettuare un’indagine epidemiologica valutativa sui servizi, condotta non sui ma con i pazienti, cioè:

-        Grado di soddisfazione delle cure

-        Assenza di pratiche costrittive (contenzioni, porte chiuse, sedazione farmacologica pesante)

-        Efficacia dell’inserimento abitativo, lavorativo, qualità della socializzazione

-        Accessibilità 24 ore dei presidi sul territorio – non CSM col portone chiuso e inaccessibili da mezzogiorno del sabato

-        Accessibilità alle cure (ticket su farmaci e indagini cliniche- tempi di attesa)

-        Percentuale dei TSV e dei TSO

-        Quantità di istituzionalizzazioni nelle 24 ore nel territorio veneziano e al di fuori dello stesso

-        Ricorso a cliniche private

-        Indagine sulla frequenza delle malattie indotte dalle cure farmacologiche

-        Confronto tra l’aspettativa di vita dei pazienti psichiatrici e della popolazione generale

  1. Coinvolgimento delle risorse del territorio precedentemente elencate, rafforzando le reti sociali presenti e creandone di nuove dove deboli o assenti.
  2. Risposte a specifiche forme di sofferenza: gestione dell’aggressività, autismo, auto aiuto -uditori di voci -, disturbi del comportamento alimentare, ricorso a sostanze psicoattive come rifugio sostitutivo a un disagio più profondo (il brutto termine “doppia diagnosi”)
  3. Per realizzare quanto elencato è indispensabile un’accelerazione della definizione delle risorse per la messa in opera dei singoli progetti anche attraverso una rapida realizzazione di un nuovo Piano di Zona per l’area sella salute mentale.

GUIDO PULLIA, Psichiatra, Direttivo nazionale di Psichiatria Democratica