le scuole al tempo del Covid-19

LA RIAPERTURA DELLE SCUOLE AL TEMPO DEL COVID.

di Enrico Nonnis

Ad oggi, fine agosto, l’apertura dell’anno scolastico è ancora incerta nei tempi e nei modi. Certo si inizierà il 14 settembre, per poi richiudere in molte Regioni per via delle elezioni; Ma non si sa se per tutti gli alunni oppure solo per alcuni a giorni (o settimane) alterni.

Per i bambini più picccoli non si è deciso niente, i Comuni che gestiscono gli Asili Nido sono stati lasciato da soli, senza alcuna indicazione da parte del governo.

Sicuramente tutto ciò è in linea con il ‘paese del far finta’ che è diventata l’Italia: a parole tutti attenti e pronti a ribadire la necessità e l’importanza della scuola, ma nei fatti nessuno che si chieda come è stato ridotto il nostro sistema educativo.

Tanti segnali diretti ed indiretti ci segnalano come la scuola sia specchio della decadenza del paese.

C’è voluto il Covid per mettercelo davanti agli occhi e non è ancora finita; Infatti la scuola fin’ora è stata chiusa, ma con l’apertura si evidenzieranno tutte le manchevolezze non solo strutturali e logistiche degli edifici scolastici ma soprattutto la mancanza di un progetto educativo moderno, attivo ed adeguato ai tempi.

È come se la scuola vivesse per inerzia senza un disegno autorevole e propositivo; Il sistema educativo mostra solo un aspetto conservatore, vecchio, viene da dire quasi reazionario.

Ovviamente fatte le dovute eccezioni, che nello sfacello generalizzato, esistono e non sono poche e sono eccellenti, ma non bastano, nonostante l’impegno della maggior parte del corpo docente, spesso lasciato solo ad affrontare situazioni complesse senza strumenti adeguati.

Nel ‘paese del far finta’ le eccellenti leggi derivate da un impulso di idee alla fine degli anni ’70 si sono svilite nella loro applicazione ormai esclusivamente formale.

I più fragili fanno da cartina di tornasole all’inadeguatezza del nostro sistema educativo, lo vediamo con l’inclusione dei diasbili nelle scuole di ogni ordine e grado, vero orgoglio nazionale, unici al mondo ad avere normato la materia più di 40 anni fa: la L.517 è del 1977, un anno prima della L.180 che ha sancito la chiusura degli Ospedali Psichiatrici.

Cosa è accaduto in questi anni’? Abbiamo assistito ad una ‘escalation’ di richieste di cerificazioni per avere l’insegnante di sostegno, per avere l’educatore in classe.

In sintesi per poter affrontare reali problematiche di gestione educative che nulla hanno a che fare con il bisogno dell’alunno disabile ed hanno molto a che fare con le difficoltà del sistema scolastico che sembra aver perso la capacità di risolvere e gestire i problemi tramite gli strumenti della pedagogia; Strumenti che dovrebbero essere il pane quotidiano delle attività educative soprattutto nella scuola primaria quando è più arduo il compito della scolarizazione.

Tutto ciò porta ad una deriva, mi scuso per i brutti termini, ‘medicalizzante’ e ‘psicologizzante’, come se medici e psicologi potessero supplire ad una vera e propria abdicazione al ruolo educativo del sistema scolastico.

Come se tutto ciò non bastasse in questi ultimi anni si è aggiunta la questione dei Disturbi Specifici di Apprendimento.

Da quando è stata promulgata nel 2010 la legge n° 170 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” che riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia quali disturbi specifici dell’apprendimento, le segnalazioni da parte della scuola e le conseguenti diagnosi sono aumentate in maniera esponenziale; in alcune classi, soprattutto delle secondarie superiori vi sono 6-7 alunni diagnosticati; in pratica il 25 – 30 % della classe presenta il disturbo.

Se è vero che esiste il Disturbo di Apprendimento deve esistere anche il Disturbo di Insegnamento; ma nessuno si prende la briga di fare una diagnosi differenziale.

Insomma, c’è qualcosa che non va se le patologie aumentano in relazione alle leggi.

Il termine disturbo d’apprendimento è un termine ‘ombrello’ che comprende una enorme varietà di situazioni, la maggior parte delle quali dovrebbe essere affrontata con strumenti –pedagogici, educativi e didattici e non certo medici o psicologici, utili senz’altro solo in una minoranza di casi.

La Regione Lazio recentemente, in applicazione di una norma della L 170 del 2010, riconosce le valutazioni effettuate presso centri privati autorizzati quando il servizio pubblico non riesce in tempi utili ad effettuare le valutazioni richieste.

Naturalmente si guarda bene dal rinforzare i servizi, ormai totalmente depauperati di personale e sempre più oberati di richieste tra le più varie (tribunali, scuola, enti locali, ecc.).

Il risultato sarà che i centri privati autorizzati dopo un periodo di valutazioni effettuate a spese delle famiglie chiederanno l’accreditamento alla Regione o saranno le famiglie stesse a rivendicare un rimborso spese, visto che i disturbi d’apprendimento sono inseriti nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

Tutto ciò è indicativo della mancanza di una idea complessiva delle reali esigenze del mondo dell’infanzia e tale stato di povertà culturale e politica rischia di creare il circolo vizioso della deresponsabilizzazione: se c’è un problema è sempre qualcun altro che deve risolverlo e farsene carico.

Se la scuola ha difficoltà nel gestire e scolarizzare gli alunni è bene che se ne occupino i medici; se si individua un problema sociale è la scuola che dovrebbe risolverlo e così via.

I servizi sanitari stessi man mano perdono di vista lo scopo per cui sono stati creati e viene meno quella unità di intenti tra sistemi (Pedagogico, Sociale, Sanitario) che è l’unica maniera per risolvere veramente i problemi e creare i presupposti per una crescita responsabile dei nostri bambini ed adolescenti.